Roberto Santopietro – detto anche Roberto del Mongetto – non è un personaggio ordinario. È una di quelle persone che si incontrano di tanto in tanto, se si è un po’ fortunati.
Un tempo lavorava a Loano, in Liguria, gestiva un albergo che si chiamava Cabiria, la cui cucina vantava anche la stella Michelin. Ed è proprio a Loano che ha conosciuto il suo maestro, Luigi Veronelli. È stato lui a dirgli: “Ma scusa Roberto, tu che sei piemontese e che lavori con tanta attenzione a certi prodotti, com’è che te ne stai qui in Liguria? Torna a casa, no?”
Da lì a poco, nel 1981, Roberto torna a Vignale Monferrato per iniziare – assieme al fratello Carlo – quello che oggi è Il Mongetto. Ma cos’è per davvero ‘sto Mongetto? Semplice, un’eccellenza.
È un’azienda agricola e vitivinicola. Produce confetture e conserve, tipo mostarde d’uva, tipo la Bagna Caoda, un’infinità di sughi, confetture di zucca, di fichi. Produce ovviamente vino, importa sapori ed eccellenze da tutto il mondo – come le acciughe del Cantabrico, per dire – e via così chi più ne ha, più ne metta. Come se non bastasse è anche un agriturismo tradizionale.
Bene, facciamo che cerco di raccontarvelo in poche righe e senza fare pubblicità, perché Il Mongetto non ne ha bisogno.
Il camino acceso manda un profumo di camomilla mentre una radiolina, nascosta da qualche parte, singhiozza un jazz nostalgico. La sala da pranzo è quella principale dell’agriturismo “Drè Castè – Il Mongetto” in centro a Vignale, ovvero una palazzina di fine’700 restrutturata quel che basta per non perdere la sua storicità.
Roberto Santopietro siede al tavolo accanto al camino. Sopra ci sono due piattini colmi di acciughe, un cestino con il pane e una noce di burro fresca in una scodella a centro tavola. Roberto si alza e mi saluta con calore, con un bel sorriso e una pacca su una spalla, come se fossi suo figlio.
“Ciao Robby”, dico io.
“Piove, governo ladro!”, mi risponde lui appena ci sediamo, lo dice anche se fuori c’è il sole. “L’hai mai sentita questa frase?”
Io faccio di no con la testa.
“Be’ Genny, che tu l’abbia sentita o no, poco cambia, perché è una cosa carina e ne parleremo comunque”, continua poi Roberto, infilzando con la forchetta la polpa di un’acciuga. “È un’espressione comunemente usata per satireggiare quell’abitudine che ha la gente di dare la colpa di tutto al governo. E ci sono varie teorie sull’origine della frase. Per me che sono piemontese, la frase ha a che fare con le vecchie tassazioni a peso e i commercianti liguri, quelli che portavano nell’entroterra – e quindi anche in Piemonte – il loro pesce, e in particolare le acciughe. Come le trasportavano le acciughe, Genny? Be’, le trasportavano sotto sale. Come ben sai, quando piove, il sale aumenta di peso, allora i pescatori liguri venivano maggiormente tassati”.
Poi addenta l’acciuga con nonchalance.
Intanto suo fratello Carlo – è lui a gestire l’agriturismo e la produzione di vino – si avvicina al tavolo con una bottiglia di Grignolino del Monferrato Casalese, una loro creazione. Anche lui mi saluta con lo stesso calore del fratello, poi stappa la bottiglia, ci serve da bere e infine si occupa del fuoco del camino con qualche altro gambo di camomilla.
Stiamo pranzando fuori orario, sono quasi le tre di pomeriggio, l’agriturismo è quindi vuoto, ci siamo solo noi. Eppure mi accorgo che negli altri tavoli ci sono già delle bottiglie di vino, tutte diverse tra loro, pronte ad essere stappate.
“Quelle sono le scelte dell’oste”, dice Roberto.
Il signor Carlo non esita un secondo, senza staccare gli occhi dal camino: “Una volta le osterie funzionavano che la gente si sedeva dove trovava la bottiglia che più faceva al caso suo. Allora io faccio ancora così, metto sui tavoli tutte queste bottiglie e poi, quando arriva la gente a mangiare, lascio che sia il vino a scegliere il tavolo per loro”.
Poi il signor Carlo borbotta qualcosa, lascia perdere il fuoco e si fionda verso le cucine.
“A breve Carlo arriverà col cibo”, dice Roberto. “Porca vacca Genny, sono contento che pranziamo assieme!”
Ci sono dei posti che potrebbero comunicare tutto senza dire niente. Il Mongetto è così, trasformazione e memoria, direi. Lo si vede nei modi di fare dei due Santopietro, dalle storie che raccontano, dal cibo che arriva a tavola (poi ci arriviamo). Il mestiere è quello di trasformare ciò che offre la terra, di collaborare e sostenere attività contadine locali, di non dimenticare certi prodotti – e certe ricette – che altrimenti andrebbero perduti, lasciando da parte il rumore e i numeri che tartassano il mestiere. Questo vuol dire essere un’eccellenza.
“Le mode sono mode”, dice Roberto che ride di gusto. “Alla fine uno vuole vedere la convivialità, la tradizione. La gente vuole conoscere chi sa veramente cosa vuol dire lavorare con la terra. Chi lavora come lavoro io è come un vecchietto che guarda i passanti alla finestra. Tutti questi passanti che – appunto – passano, e non prestano attenzione, che non sanno cos’è tutto questo. Perché loro guardano Trip Advisor”.
Ed ecco che finalmente il signor Carlo porta a tavola pasta con sughetto di frattaglie, taglieri con muletta, cacciatorina, salame cotto e formaggi e infine lingua bollita col bagnetto.
“Questa è la ricetta di famiglia per il bagnetto con i tuorli, mollica, prezzemolo e aceto. Tutta tradizione”, dice Roberto prima di tirare fuori qualche altra vecchia storia, perché ne ha a non finire. Storie di sapori e di mestiere che coinvolgono Romano Levi, Giacomo Bologna, Gioacchino Palestro e soprattutto che raccontano una visione d’insieme pulita, chiara, di quello che vuol dire lavorare in questo mondo e quello che dovrebbe tornare ad essere.
Ma non ve ne parlerò adesso.
Magari un giorno o l’altro riuscirò a portalo giù a Treviso e organizzare qualcosa, non lo so, un laboratorio, una serie d’incontri e farvele raccontare da lui in persona, queste storie, perché ho come la sensazione che ce ne sia veramente bisogno.
Prima di andare via, Roberto viene da me con una scatoletta di acciughe. “Per il viaggio”, dice contento. Poi mi porta a vedere una cosa in una stanza dell’agriturismo. Tira giù da una mensola una foto incorniciata.
“Una volta un amico mi fa: ‘Andiamo a farci un giro in deltaplano, io e te? Così scatti qualche foto e ce la passiamo un po’. Perché no – mi son detto io – che vuoi che accada? Alla fine ci siamo schiantati. Non scherzo mica. Una corrente inaspettata ci ha costretti ad un atterraggio d’emergenza in un campo di pannocchie. E le pannocchie sono come ganci destri se le prendi in pieno muso mentre precipiti col deltaplano, ve lo assicuro. Anzi, ve lo potrebbe assicurare il mio amico, perché le pannocchiate le ha prese tutte lui. Io invece, che stavo dietro e più al sicuro, ne sono uscito completamente illeso. Non potete capire le risate. Sono riuscito a scattare anche questa bella foto. Va’ che bella”, dice Roberto mentre la mostra divertito. Nella foto – ovviamente scattata in volo – si vedono i vigneti della sua terra, e il cielo terso di un pomeriggio estivo. “Vabbè”, aggiunge infine. “Cibo, tradizione, storie e risate, questo è Il Mongetto”.